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E se Cristoforo Colombo non fosse in America?

Si credeva sepolto a Santo Domingo, ma sorgono nuovi dubbi: gli scienziati cercano conferme dal Dna
E se Cristoforo Colombo non fosse in America?

Anche Cristoforo Colombo è finito nel mirino degli scienziati che ne esamineranno il Dna per stabilire innanzitutto se davvero il corpo sepolto s Santo Domingo è quello del celebre navigatore e quali furono le cause della sua morte.
Cristoforo Colombo, dunque, come Giotto e Nefertiti, come Petrarca e S.Antonio da Padova, in un singolare e molto selezionato pantheon di celebrità di ogni tempo. Il suo corpo, ovvero il corpo attribuito all’esploratore genovese, che è sepolto a Santo Domingo, sarà riesumato come annunciato dagli scienziati dell’Università spagnola di Granada che hanno ricevuto dalle autorità della Repubblica Dominicana l’autorizzazione a studiare i resti presunti del grande navigatore. Lanalisi delle ossa avverrà dopo che gli esami del Dna compiuti lo scorso ottobre dai ricercatori spagnoli sui resti trovati sotto la cattedrale di Siviglia non avevano escluso la possibilità che questi, e non quelli di Santo Domingo, siano i veri resti dello scopritore dell’America.
I ricercatori spagnoli si recheranno dunque a Santo Domingo il prossimo febbraio per risistemare i resti e consentirne una migliore conservazione e procederanno quindi, in una successiva missione, all’esame del Dna per cercare di risolvere definitivamente l’enigma del corpo di Colombo.
Una procedura, quella seguita per l’attribuzione delle spoglie e per conoscere le cause della morte, che ha avuto negli ultimi anni un riscontro crescente tra gli studiosi, insieme alla possibilità di ricostruire la fisionomia di grandi personaggi. Insomma Cristoforo Colombo è, per così dire, in buona compagnia. La prima indagine del genere in Italia risale al 1981, quando venne riaperta la tomba di S. Antonio da Padova. Lo stato di conservazione della salma, oggetto di studio da parte di una commissione diretta dal prof. Virgilio Meneghelli, permise di constatare che il santo aveva una statura più alta della media del tempo e una corporatura non tanto massiccia quanto riportava la tradizione. Il suo volto era piuttosto allungato, una fisionomia caratteristica della nobiltà portoghese. Sempre a Padova, nel 1998, una commissione scientifica, coordinata dal prof. Vito Terribile Weil Marin, mise a segno un importante scoperta. Confrontando lo scheletro conservato nella basilica di Santa Giustina con i resti della testa di San Luca custoditi nella cattedrale di San Vito a Praga, potè accertare che quelle ossa erano dell’evangelista. Lo scheletro quasi completo permise di stabilire alcune caratteristiche del santo: altezza 1.64 m, corporatura robusta, testa lunga e stretta, tipica del cranio di tipo mediterraneo del tempo.
Per quanto riguarda Giotto, la ricostruzione del suo volto è stata possibile grazie ad uno studio sui resti dell’artista, presentato 3 anni fa dall’antropologo Francesco Mallegni e dal giornalista Stefano Sieni. Tratti rozzi, il naso corto, un occhio più grande dell’altro, il busto largo e gli arti corti, Giotto, per usare un eufemismo, non sarebbe stato un adone. A sostegno della tesi del Mallegni, alcune fonti storiche e, soprattutto, la somiglianza con l’autoritratto attribuito per tradizione a Giotto presente nel Giudizio universale conservato nella cappella degli Scrovegni di Padova.
È del 2003 la ricostruzione del volto di Nefertiti. La leggendaria bellezza della regina egiziana ha trovato conferma nello studio della mummia, ritrovata dall’archeologa Joann Fletcher. La studiosa britannica ha ricostruito al computer le sembianze dell’egizia : collo lungo e sottile, lineamenti delicati. Nefertiti, che in egiziano significa “la più bella e perfetta è arrivata”, meritava effettivamente il suo nome.
Ancora nel 2003 si indagò sulle 49 salme della nobile dinastia dei Medici, sepolte nelle cappelle medicee di Firenze. Lanno scorso si è discusso a lungo se riesumare o meno le spoglie di Giacomo Leopardi, conservate nel parco delle Rimembranze di Posillipo a Napoli, dove in effetti morì il poeta. Promotore dell’iniziativa, fieramente osteggiata dal sindaco di Recanati e da altri leopardiani, era Silvano Vinceti, un autore televisivo, non nuovo a indagini del genere, avendo riesumato i resti di un altro poeta, il Boiardo.
Un giallo si è infine acceso lo scorso ottobre , quando il professor Vito Terribile Wiel ha annunciato che esami compiuti dai tecnici dell’università dell’Arizona avevano rivelato che quello collocato da secoli all’interno della arca sepolcrale di Arquà (Padova), che raccoglierebbe le spoglie di Petrarca, è il teschio di una donna del 1207 e non del celebre poeta trecentesco.

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